Oggi si dibatte molto sulla considerazione che le farine dei cereali facciano male, tanto più se contengono glutine. In realtà si fa di tutt’erba un fascio, parlando di allergia, intolleranza, celiachia, ipersensibilità, obesità, ecc., le cose non stanno proprio in questi termini. Siamo già intervenuti su questo argomento, cercando di fare chiarezza sulla terminologia, scientifica e pseudoscientifica, in uso e sulla patologia digestiva che eventualmente questi alimenti comportano. Ma vi è qualcosa da precisare. Se la domanda è: le farine dei cereali sono da considerare alimenti nocivi?, la risposta è assolutamente no, almeno per la gran parte della popolazione. Ma per alcuni gruppi di persone sarebbe bene evitarli, e vediamo perchè. I motivi sono diversi, distinguibili in due gruppi:
a) cause allergiche e di intolleranza,
b) cause metaboliche.
Tra le prime, le allergie al grano, l’ipersensibilità al glutine, la celiachia e le intolleranze digestive verso questi alimenti , in generale, sono argomenti definiti e noti; riguardano persone che nell’arco della loro vita, per predisposizione genetica e circostanze ambientali (abitudini alimentari e di lavoro), acquisiscono un’ipersensibilità o sviluppano patologie infiammatorie alimentari croniche che coinvolgono solo gli alimenti che appartengono alla famiglia delle graminacee coltivate (grano, farro, camut, avena, orzo, mais riso, ecc.). Ovviamente, in questi casi, la loro assunzione alimentare porta danno e l’unica cura possibile è di escluderli dalla alimentazione abituale.
Nel secondo caso il motivo non è specifico per la sola famiglia dei cereali, ma riguarda gli amidi in genere, tutti quelli presenti in altri alimenti vegetali, cioè tutti gli alimenti che hanno una quota elevata di mono e polisaccaridi, con alto indice di biodisponibilità per l’uomo.
La maggiore o minore biodisponibilità degli amidi (presenti nei cereali, nel riso, nelle patate, nei legumi, nella quinoa, ecc.) dipende dalla raffinatezza del prodotto alimentare; il grano può costituire un esempio classico, valevole per tutti gli altri. Parliamo delle farine, che oggi sono molto raffinate e sono completamente prive di fibre e di crusca; ciò comporta , da un lato, una migliore palatabilità del prodotto, ma per altro verso condiziona molto i processi digestivi ed il metabolismo dei carboidrati, con comportamenti che variano da soggetto a soggetto, a seconda delle eventuali anomali metaboliche che la persona ha .
Il chicco di grano o cariosside è un frutto secco è costituito da 3 parti:
- la parte esterna, fatta da una serie di strati che avvolgono il seme, detta crusca, costituita principalmente da fibre vegetali, proteine, sali minerali e vitamine, senza dubbio è la parte più ricca di sostanze nutritive utili per l’organismo.
- La parte interna detta endosperma è costituita da amido, pochi sali minerali e poche vitamine.
- Il germe, ricco di vitamine, sali minerali, proteine (glutine) ed è l’unica parte che contiene lipidi. Nella macinazione la parte esterna ed il germe, che sono le parti più nutrienti, vengono scartate perché danno alla farine un colore più scuro e sono soggette a irrancidimento nella lunga conservazione. Quello che rimane nelle farine 0 e 00 è solo la parte interna, cioè l’amido, la più bianca, la più ricercata, ma la più povera di sostanze nutritive.
L’amido ha una grande biodisponibilità ed un alto indice glicemico, cioè è un alimento facilmente digeribile dall’intestino, per cui, nell’arco di 60/100 minuti dal pasto, è completamente assorbito, metabolizzato e trasformato in glucosio, per comparire nel sangue sotto forma di “glicemia”. Nelle persone che hanno alterazioni metaboliche, come obesità, diabete, gotta, Sindrome Metabolica, ipercolesterolemia,ecc., la rapidità della trasformazione in glucosio determina un “picco glicemico” al quale segue un “picco insulinemico” che vanno oltre la norma, proprio per le caratteristiche patogenetiche delle malattie menzionate, aggravando la evoluzione della malattie. Prendiamo ad esempio il diabete, in cui il picco glicemico postprandiale si presenta più alto e più persistente della norma.
La permanenza di troppo glucosio nel sangue, oltre ai disturbi tipici della malattia, produce un’altro fenomeno, poco appariscente: l’adesione di molecole di glucosio alle strutture proteiche (enzimi, collagene, ormoni, tessuto connettivo, DNA, ecc.) Si chiama: “glicazione proteica”; le molecole di zucchero, non potendo circolare nel sangue da sole, essendo in eccesso, si aggregano alle proteine, comportandosi come lo zucchero nelle marmellate: le “caramellizza”, ossidandole ed inattivando le funzioni a cui sono destinate.
Vi è una teoria che considera questo fenomeno come il primum movens verso la senescenza perchè, contemporanemante fa decadere tutte le funzioni organiche. Inoltre l’eccesso energetico supera sia il fabbisogno dell’organismo che le possibilità di smaltimento, per cui si ha un accantonamento di glicogeno nel fegato.
Questo glicogeno, nel tempo, si trasforma in grasso ed il fegato si ingrandisce e diviene “steatosico”, Il grasso si accumula anche nei tessuti, aumentando l’adipe ed il livello dei lipidi circolanti: trigliceridi e colesterolo. Aumenta anche l’insulina, che, in queste condizioni di sovraccarico, è inefficace a regolare la glicemia e si determina una insulinoresistenza. Tutte queste modifiche vanno ad aggravare la patologia del diabete, l’obesità, l’ipercolesterolemia, e, a catena conseguenziale, la gotta, l’ipertensione, l’ipotiroidismo, ecc.
A cura del prof. Giulio Iasonna